Esploratrici Solitarie

 

NOTA D’AUTORE

Ho cominciato abbastanza tardi a scrivere poesia dopo aver composto, fra Cambridge nel Massachusetts e Manhattan, due romanzi (uno, Arabia felix Arabia deserta, ancora inedito; l’altro, L’ospedale di Manhattan, pubblicato nel 1978). Il mio primo libro di poesia, Prose in poesia, scritto fra Bologna, Manhattan e New Haven nel Connecticut, esce nel 1979. Da allora sono usciti alcuni romanzi e raccolte di racconti, e soprattutto libri di poesia (sedici) scritti in un luogo mentale che si situa equidistantemente fra gli Stati Uniti e l’Italia. E molti sono i singoli testi (di narrativa e di poesia) tuttora inediti. Da vari anni sono impegnato nella scrittura di cinque romanzi quotidiani che costituiscono una Pentalogia di tipo narrativo ancora per la maggior parte inedita (a parte alcune anticipazioni su riviste e nel mio sito web). Questa Pentalogia comprende a questo punto più di 15.000 fogli manoscritti. Quanto alla serie di poesie qui presentate:

Ho già spiegato per iscritto in varie occasioni la genesi e natura del sottogenere poetico che chiamo “poesie-dardi” — e la più recente di tali occasioni è stata la pubblicazione della mia ultima raccolta poetica, Il volto quasi umano (Bologna, Lombar Key, 2009); non rinnoverò dunque quelle indicazioni. Ripeterò invece brevemente un’altra precisazione contenuta nella succitata raccolta, cioè: nella maggioranza delle poesie che seguono, ogni elemento testuale (titolo, epigrafe o motto, dedica, indicazione cronotopica finale, eventuale nota esplicativa a piè di pagina) concorre a costituire il testo della poesia in questione, senza fondamentale distinzione tra un centro e un contorno. In effetti, gli elementi elencati sopra vengono a formare la peculiare struttura metrica (in un senso ovviamente lato, e tuttavia pertinente, di questo termine) che contiene e inquadra queste poesie.

Nel processo di selezione che ha portato alla forma finale dell’ampio testo di Il volto quasi umano avevo scartato un manipolo di poesie che rientravano solo marginalmente nella linea centrale di quel volume, ma che pure avevano un loro senso e coerenza. Questa è la serie di testi che qui presento, all’ombra raccoglitrice del titolo Esploratrici solitarie — titolo che diventerà quello di un mio prossimo libro di poesie del quale i presenti testi faranno parte. Tutte queste poesie sono attualmente inedite.

La mia poetica (in brevissimo — anche perché questo termine mi pare un po’ pesante) parte dal riconoscimento del fatto che nulla può essere adeguatamente espresso dal linguaggio umano nel suo uso normale. Le cose del mondo stanno lì, dure e spigolose, e il linguaggio ha una capacità molto limitata di (de)costruirle; in compenso, ha capacità pressoché illimitate di produrre fraintendimenti. Il linguaggio umano, insomma, sembra fatto per fraintendersi. La speranza (utopica necessaria realistica) che ci sostiene nella nostra vita quotidiana in quanto vita soprattutto linguistica è che il fraintendersi divenga, a volte e in parte, un fra-intendersi: cioè, piuttosto che un ‘non intendersi’ un ‘intendersi fra’. Io vedo la mia poesia come un’accettazione profonda del fraintendimento, un tuffo nel fraintendimento, un modo di sguazzare nel fraintendimento (ma non si tratta di un giuoco frivolo e compiaciuto, bensì di un ludus molto serio). Accettare in partenza il fraintendimento in tutta la sua latitudine è la speranza migliore di attingere qualche volta il fra-intendimento, cioè di realizzare momenti di intesa reciproca. Non dovrebbe essere necessario (ma lo è, perché alcuni hanno già commesso questo errore nel mio caso) specificare che questa non è affatto una dichiarazione di poetica neo-ermetica nel solco di Mallarmé — e del resto credo che basti veramente leggere un paio di miei testi per capire che non è così. Il mio non è un linguaggio poetico radicalmente separato, bensì una forma vicina al linguaggio comune, nella sua terribile capacità di fraintendersi così come nella sua rara ma vitale speranza di fra-intendersi.

 

I. Le solitarie

 

I ricordi son sempre imprevedibili

      Certe donne-colonne profondamente serie
coi seni tuberosi ma solo indovinati
e le cosce bagnate nell’ombra:
i corpi irraggiungibili aiutano a pensare.
Houston, Texas
Museum of Fine Arts
17 aprile 2004

 

In cucina

Un uomo solo –
mentre sgurava il fondo della pentola
con la spugna metallica
e con le unghie
strappava i fili della pasta fredda
come scarmigliature –
gli è apparso per un attimo il corpo di san Paolo
dentro il Carcere Mamertino
e ha sentito un insulto
di commozione –   
l’uomo che vive solo
è esposto a ogni guasto
e vede bene
quanto è facile massacrare un corpo.

Laghetto
2-3 maggio 2004

 

Imitatio Christi, 1

      Gli occhi della sua mente non pervengono
a veder come sia il Santo Volto –
eppure non rinunzia:
le sue visite all’arte e alla vita
mirano tutte in fondo
a trovare quel viso.

      Comincia in questi giorni
a pensare che il Volto
stia anche nello stampo
e concava forma
del suo stesso viso
tra le palme affossato
mentre l’ostia si sbriciola in bocca
e dentro il corpo si espande.

Laghetto
7-9 marzo 2004

 

Imitatio Christi, 2
     
      Da Giuseppe, Gesù ha imparato
la carpenteria
dell’universo mondo.
Lui invece, avendo fallito
ogni sua costruzione,
è ridotto a rendere
omaggio disperato
al Figlio del Falegname
con un’arte più povera e più tenue:
la tessitura dell’intellezione
che estende gli invisibili notturni
fili delle preghiere.

Bologna
Via Guerrazzi
12-14 maggio 2004

 

L'anticamera del ‘Credo’

      Ha ascoltato alla radio una canzone
che diceva “Do you believe in fate?"
ma aveva creduto di sentire:
"Do you believe in faith?"
e ‘Sì’ ha risposto,
parlando al parabrezza
e all'aria carezzante
traverso il finestrino:
‘Sì, io credo che esista qualche cosa
di roccioso e di vitreo: la fede;
e in sua bellezza io credo
e penso anche di credere
nel midollo nascosto
dentro la scintillante
e diamantina pietra
(il midollo leonino)
e questa persistente impressione
di esser possesso da una convinzione
vivacizza talvolta la mia vita
nel momento in cui sta per abbattersi’.

North Branford - New Haven
11 settembre 2004

 

L’antica danza

      Di Rumi, del poeta danzatore
egli è ammiratore
ma non riesce a salire alla sua estasi.
Lui scriba oscuro rùmina
pesante sul terreno.
Ma anche quaggiù si stende
la tenera la dolce
mano leggera.

Laghetto
4-5 dicembre 2004

 

Compianto
Per Germano Valesio
      E se avesse abbracciato
un padre trapassato
dal preciso proiettile
di un franco tiratore
in un semi-assediato
interno di città? Forse
allora avrebbe pianto finalmente
(come invece nel fatto non ha fatto)
con l’eloquenza
della bocca sbarrata.
Laghetto
26 febbraio 2005

 

II. Le sparse e sperse

 

Preghiera della torera
Per Pedro Almodóvar

      Ti aspetto inginocchiata sull'arena
prego le mie mammelle
costrette nel corpetto
prego le mie spalle larghe
sotto lustrini e mostrine.
Ecco irrompi, toro – locomotiva
della coscienza esterna e schiacciante.

 

Allettamenti
Per Stéphane Mallarmé

      “Ayant peur de mourir lorsque je couche seul”
risulta ormai incomprensibile
per l’eremita della città.
La morte è sempre un morbido sospetto,
sia in comune o solitario il letto.
(“Il letto è una rosa:
chi non dorme, si riposa”.)

      Ma a questo punto di vita
dormire a fianco altrui
è così ossimoronico —
      dormire soli: plurale come illusivo
      ombrello della coppia —
da esser quasi blasfemo.
È una disperdizione un brulichìo
febbricitante e banale
che può battere il colpo fatale.

      Diverso,
il notturno viaggio in un letto
veramente solo e stretto:
il soggetto raccoglie le energie
in un principium individuationis.

 

Alborada

      La magia del risveglio è che il profondo
combacia con la superficie
e la loro equimportanza
segna il solo momento di saggezza
nella giornata.
Laghetto
7 agosto 2005

 

Il retaggio

Sua madre gli ha insegnato a non sorridere
con la pura e terribile
forza dell’esempio
e lui non ha saputo
imparare il sorriso
(nemmeno quel suo
sorriso spezzato)
da sua figlia
e non avrà nipoti
da cui apprenderlo.

 

La muna
"Upon the moon I fixed my eye" (William Wordsworth)

      Sulla piana gelata del lago
grava la luce plenaria
che è latte fresco-munto
dalla vacca lunare
è il muu della mucca nella muna
è il solo rumore nella notte
(a parte le esplosioni occasionali
del ghiaccio sottolacustre
quando comincia a fendersi).

      Questa è una –
dolcemente patita
(anche nella plenitudine)
perché sofferta
riflessa e riflettuta –
luce che seduce
la nostra debolezza
confondendo sogno e pensiero.

 

L'umiliazione

      "Devi essere umiliato",
Madre Teresa ha detto,
"per trovare la via dell'umiltà".
Lui dice: Non è detto.
Vi son tanti umiliati
che restano aplastati
e si vogliono insetti schiacciati
rimandando il riscatto
a vita oltrefrontiera.

      In verità è lunga la distanza
tra la coppa dell'umiliazione
e le labbra dell'umiltà.
Chi la vuole percorrere dovrà sperimentare
l'alchìmia che transmogrifa
il disvalore in valore—
dovrà ri-inventarsi l'orgoglio
di esser capace d'alzarsi
e la faccia lavarsi
e le scarpe calzarsi e strascinarsi
fino al cancello dei campi.
Ma la pista
dell'umiltà è già fredda
son deboli le tracce;
la caccia, lunga e incerta.

 

Il prigionero sprigionato

Vorrebbe essere promosso
da prigioniero dei suoi peccati
a prigioniero di Cristo. Ha capito
che la prima prigione disgrega
e sgretola la persona;
Invece la seconda – che è gabbia
non incarcerante – è la struttura
intorno a cui la personalità si aggrega
e si concreta e cresce – così che
è Cristo in fondo il prigioniero suo
perchè chi sta racchiuso
nel fondo è Lui –
è Lui il nucleo.

22 agosto 2009
Columbia University
Hamilton Hall