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L´ECONOMISTA CATALANO: NON MI
PARE PROPRIO CHE I MENO ABBIENTI SIANO AUMENTATI
«Senza la globalizzazione si resta
poveri»
Sala-i-Martìn: il vero problema
è lo squilibrio tra i paesi
26/1/2003
I RICCHI
diventano sempre più ricchi, i poveri più poveri»
gridano i dimostranti qua fuori. Professore, lei ha
raccolto e studiato una gran massa di dati arrivando alla
conclusione opposta: la globalizzazione riduce le
ineguaglianze nel mondo. E' così? «Sì - risponde Xavier
Sala-i-Martìn, quarantenne catalano che insegna alla
Columbia di New York, giacca color cinabro, una cravatta che non si
saprebbe se definire surrealista o postmoderna - i
risultati che ho ottenuto sono molto chiari. Nei Paesi che
si sono globalizzati sono spesso aumentate le
diseguaglianze interne, ma i redditi sono talmente
cresciuti che tutti stanno molto meglio. I Paesi che non
si sono globalizzati sono rimasti poveri. Smettiamo di
descrivere il nostro mondo come se fosse simile a quello
del Medioevo, dove o si nasceva contadino o si nasceva
principe, e non c'era speranza. I due grandi Paesi, Cina e
India, si sono sollevati dalla miseria; in India anzi il
grado di ineguaglianza interna è rimasto stabile».
Non c'è dunque una crescente distanza tra ricchi e
diseredati? Una moltitudine contro una élite?
«Ho calcolato che di tutta la disuguaglianza tra i
cittadini del pianeta, solo il 30% è dovuto al divario
tra ricchi e poveri all'interno dei Paesi. Il 70% viene
dallo squilibrio tra Paesi».
E la povertà?
«A me risulta che nell'ultimo quarto di secolo il numero
delle persone che devono sopravvivere con meno di un
dollaro il giorno sia diminuito da un quinto a un
ventesimo della popolazione del pianeta. Ovvero, ci sono
da trecento a cinquecento milioni di poveri in meno».
La Banca mondiale è meno ottimista di lei.
«Drammatizza il problema della povertà per giustificare
la propria esistenza di istituzione incaricata di
combattere la povertà».
Però gli economisti della Banca mondiale sostengono che
lei non fa calcoli corretti.
«La maniera in cui io sono arrivato a quei risultati, i
miei dati e i miei metodi di calcolo, sono disponibili a
tutti su Internet. Alcuni dei criteri usati dalla Banca
mondiale invece non sono pubblici. E se le cifre non sono
chiare, come faremo a sapere se saranno raggiunti i
traguardi di dimezzamento della povertà nel 2015 posti
dall'Onu?».
Lei sostiene che l'Asia è diventata ricca perché si è
globalizzata, l'Africa si è impoverita perché non si è
globalizzata. Ma l'America Latina non è vittima di una
liberalizzazione fallita?
«Lì hanno privatizzato molto, nello scorso decennio. Ma
i benefici sono stati sequestrati da ristrette classi
dirigenti. Per liberalizzare un'economia e farla crescere
non basta vendere industrie a privati, come nell'America
latina hanno fatto soprattutto a beneficio di imprese
spagnole. Occorre invece più concorrenza e più apertura
commerciale: questo non è avvenuto».
E del fallimento dell'Africa di chi è la colpa?
«Se ci sono Paesi dove il divario tra ricchi e poveri è
aumentato, sono quelli. C'è una ristretta classe
possidente corrotta che non è capace di prendere
decisioni nell'interesse del popolo: per esempio i dati
della Nigeria, che è il Paese più grande dell'Africa,
sono spaventosi».
s. l.
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